Lido Scacchi. “Metà di quelle cose che sono scritte lì me le sono inventate; l’altra metà l’hanno aggiunta loro”. Quel “lì” sta per il verbale di dichiarazioni redatto il 6 giugno del 2008. Quel “loro” sta per i carabinieri di Comacchio. Accusa e si accusa davanti ai giudici un testimone che ieri è riuscito a far passare in secondo piano il motivo del processo: un presunto stupro ai danni di una ragazza.
L’episodio oggetto del procedimento risale a una notte di maggio del 2008. Un gruppo di amici tra i 20 e i 30 anni si era dato appuntamento in discoteca al J&J di Lido degli Scacchi e tra loro c’era anche una ragazza di 20 anni. I giovani bevono qualche bicchiere di troppo e decidono di finire la serata nel garage adibito a magazzino di uno di loro, dove sarebbe avvenuto lo stupro. La ragazza è innamorata di uno del gruppo e chiede di essere lasciata sola con lui per godere di qualche momento di intimità.
Ma l’alcol in corpo è troppo è il giovane desiste. Uno degli amici rimasti fuori, il 29enne odierno imputato, si fa largo tra gli altri ed entra nel magazzino. E qui inizia il racconto esposto proprio ieri in aula dalla giovane, sentita come teste. “Ero sul lettino, spalle alla porta, mi stavo rivestendo. Ho sentito il rumore del chiavistello che si chiudeva. Mi è saltato addosso…”. Il racconto continua con l’imputato che l’avrebbe costretta a subire un rapporto completo (mentre il presunto stupratore, difeso dall’avvocato Renzo Oppi, sostiene di aver tentato solo un approccio e di aver desistito dopo il rifiuto della ragazza).
Una versione, quella della parte offesa, confermata davanti ai carabinieri dai componenti del gruppo nei giorni successivi alla denuncia. La giovane infatti non sporse querela subito. Dopo quella notte qualcuno della comitiva parla pubblicamente e fa affermazioni gravi, così la voce del presunto stupro arriva fino ai genitori della ragazza che si rivolgono all’Arma.
Ieri, davanti al tribunale collegiale, sono stati sentiti tre testi dell’accusa. Tre ragazzi che erano lì, in quel casolare, quella notte. Ma due di loro negano completamente quanto scritto nei verbali che firmarono. Di più. “Sono stato costretto a dire quelle cose dai carabinieri che mi hanno tenuto in caserma per un’ora e mezza” afferma il secondo teste. E ribadisce, nonostante la pm Patrizia Castaldini gli faccia notare che in pratica sta confessando di aver calunniato un innocente, che si è inventato tutto.
Il terzo teste, cugino dell’imputato, va addirittura oltre, mettendo a dura prova la pazienza del giudice Silvia Giorgi. “Tutto falso, non c’è stato nessun abuso, siamo andati tutti via”, sbotta quando la pubblica accusa gli rilegge i passi delle sue dichiarazioni di allora che accusano il parente. “In caserma mi hanno messo pressione”.
L’udienza è stata aggiornata al 23 marzo, quando verranno sentiti ulteriori testi e si terrà l’esame dell’imputato.
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